Parte A

METODI FISICI


Patrick J. McGrath PhD

Kenneth D. Craig PhD

 

Fattori Evolutivi e Psicologici

nel Dolore dei Bambini

 

Traduzione del Dott. Gabriele Noferi


 

Il dolore é un elemento importante nella vita dei bambini, né più né meno che in quella degli adulti.

Purtroppo la nostra cognizione del problema é inadeguata e diffusi fraintendimenti hanno portato ad errori e insufficienze nel trattamento del dolore.

Per poter capire il dolore nei bambini, si deve tener conto di processi sia evolutivi che psicologici.

Il dolore é sempre integrato in una matrice complessa d’interazioni biologiche, psicologiche e sociali 33.

Il dato clinico del dolore non può mai essere visto come fenomeno principalmente biologico o come semplice fatto psicologico, ne é possibile scindere il dolore dal contesto sociale.

Per indagare in tutta la loro complessità le determinanti del dolore nei bambini, nel suo aspetto sia quantitativo che qualitativo, passeremo dapprima in rassegna tre settori dello sviluppo (fisiologico, cognitivo e sociale) per concentrare poi l’attenzione su altri problemi psicologici del dolore nell’età evolutiva.

 

ASPETTI EVOLUTIVI

 

Lo sviluppo fisiologico

Per quanto riguarda lo sviluppo fisiologico, tre sono gli aspetti di particolare importanza. Il primo é l’effetto della maturazione biologica sulla percezione nocicettiva e la risposta al dolore. Secondo: la risposta ai farmaci e al trauma possono variare con l’età. Infine, sindromi specifiche di colore si presentano nei diversi periodi evolutivi.

 

Percezione nocicettiva e risposta al dolore

C’é attualmente una controversia circa le differenze nella percezione del dolore nelle varie fasce d’età. E’ ancora diffusa l’errata concezione che i neonati non avvertano il dolore e non conservino memoria delle esperienze dolorose. 18,34

Il classico lavoro di McGraw, 31 che ha osservato le reazioni dei lattanti a punture di spillo, é stato interpretato spesso come indicazione del fatto che la percezione del dolore non si perfezioni prima di tre mesi circa. Secondo questa studiosa, il lattante si sarebbe dovuto considerare "decorticato".

Altri autori hanno ritenuto che l’incompleta mielinizzazione delle fibre nervose alla nascita fosse una base fisiolofica sufficiente a giustificare l’idea di una insensibilità al dolore dei neonati. 2

Questa posizione ha molti limiti. Primo, il rigore metodologico di quella vecchia ricerca non é all’altezza dei requisiti oggi richiesti: sia la definizione dello stimolo che la precisione di misura della risposta erano gravemente carenti. 9 Inoltre i risultati sono stati mal interpretai: McGraw infatti aveva riferito soltanto che alcuni, ma non tutti, i neonati apparentemente non rispondevano alla puntura di spillo.

Dati recenti, meglio controllati, dimostrano orami abbondantemente che i neonati sono in realtà sensibili al dolore. Due recenti rassegne sull’argomento 2,3 citano una ricchissima letteratura, in campo sia umano che animale, indicante che i sistemi anatomici, funzionali e neurochimici alla nascita sono sufficientemente sviluppati da permettere la percezione del dolore.

Non solo, ma sono ampiamente documentate risposte cardiorespiratorie, ormonali e comportamentali che sono indicative del dolore. La stessa esperienza quotidiana di chi lavora con neonati, peraltro é inequivocabile. Chiunque abbia visto come i neonati si ritraggono piangendo per sfuggire a procedure invasive, o abbia osservato il loro malessere evidente dopo un intervento chirurgico, non può dubitare che provino dolore. 18,26

L’ambiguità entra in gioco solo quando l’osservatore non vede la fonte del dolore: senza conoscere il contesto, infatti non é facile interpretare le reazioni comportamentali dei lattanti, ma neppure quelle dei bambini più grandi, adolescenti e adulti.

Le prove migliori sono semmai a favore dell’idea che nella primissima infanzia la percezione del dolore sia più acuta, data l’immaturità dei meccanismi discendenti di controllo che più avanti nell’età inibiscono la trasmissione del dolore. 2,17

Le variabili della sensibilità al dolore nel corso della prima e seconda infanzia non sono state molto studiate, in parte a causa dei problemi etici legati a questo tipo di sperimentazione coi bambini, mai risultati di una ricerca sembrano indicare un aumento della soglia del dolore con l’età. 24

Può darsi che ciò sia dovuto semplicemente al fatto che con gli anni cambia l’espressione del dolore. I lattanti e i bambini in età prescolare rispondono soprattutto con pianto, movimenti massicci e tentativi di fuga dallo stimolo doloroso. In età scolastica e nell’adolescenza invece, pianto e proteste vigorose sono più rare, mentre sono più comuni smorfie di dolore, trasalimenti o descrizioni verbali delle sensazioni di malessere. 8

I bambini più grandi possono avere mezzi più efficaci per comunicare il dolore e per farvi fronte, mentre ai più piccoli mancano le esperienza precedenti o quella capacità di afferrare concettualmente il significato di un’esperienza dolorosa, che aiuta gli adulti ad affrontarla e superarla meglio.

Viceversa, é stato spesso notato nella clinica che dopo un intervento chirurgico i bambini più piccoli tornano prima dei grandi a giocare normalmente. In uno studio su 127 soggetti dai 9 ai 14 anni sottoposti a tonsillectomia e adenoidectomia, 27 i più piccoli lamentavano meno sintomi e anche a giudizio dei genitori apparivano meno afflitti dal dolore.

Può darsi che nei ragazzi più grandi il trauma postoperatorio fosse concretamente maggiore, ma ci sono anche spiegazioni alternative: con gli anni può crescere la sensibilità al dolore, oppure la capacità di comunicare efficacemente il proprio stato di malessere, o anche soltanto la cautela di fronte al dolore.

Perché possa conservarsi il ricordo del dolore sono necessarie sia la percezione del dolore che la capacità cognitiva di memoria. Come abbiamo notato, é fuori dubbio che il neonato sia in grado di percepire stimoli dolorosi. Del pari é ampiamente dimostrata la memoria di altri stimoli, non dolorifici, in età precosissima; 36 anche il neonato possiede l’apparato fisiologico necessario per la memoria. ciononostante, la memoria del dolore non é mai stata dimostrata sperimentalmente in età neonatale. 10,28

L’osservazione comunissima che i neonati in terapia intensiva, sottoposti a ripetute procedure spiacevoli o dolorose, trattengono il respiro o "si addormentano" all’avvicinarsi di qualcuno fa pensare che in effetti ricordino le esperienze precedenti. Prima dei 6 mesi il dolore arriva ad avere un impatto duraturo sul comportamento. Dati sperimentali e osservazioni cliniche hanno evidenziato il comportamento apprensivo di bambini di 6 mesi in situazioni associate in precedenza ad esperienze di dolore. 10,28

Malgrado le complicazioni etiche e metodologiche che ci impediscono di arrivare a capire meglio la memoria del dolore, la possibilità che tali esperienze abbiano effetti duraturi del comportamento esige una migliore conoscenza scientifica di tali processi.

 

La risposta ai farmaci e al trauma

Cambiamenti fisiologici nel corso dello sviluppo modificano, a quanto sembra, l’effetto dei farmaci usati nel trattamento del dolore e la risposta fisiologica al trauma - p.es., a un intervento chirurgico.

I dati disponibili sono scarsi, ma alcuni risultati indicano l’importanza di tali cambiamenti evolutivi. La farmacocinetica degli oppioidi e la risposta dei neonati al trattamento dipendono dall’età.

Il propanololo, un betabloccante, é efficace nell’emicrania degli adulti ma é di dubbio effetto con gli adolescenti 19. Infine, sembra che dopo tonsillectomia e adenoidectomia, i bambini più piccoli lamentino meno dolore e riprendano le normali attività più presto in confronto a bambini più grandi e adolescenti. 27

 

Sviluppo di sindromi di dolore

Se é vero che alcuni tipi di dolore, come il dolore postoperatorio non sono legati all’età certe sindromi di dolore tendono a presentarsi in età diverse. La colica, che a parte le incertezze sulla sua origine 5,30 é evidentemente una sindrome dolorosa, compare solo nei primi mesi di vita.

Similmente il dolore della dentizione riguarda solo i bambini in età prescolare e il mal d’orecchi colpisce soprattutto i lattanti e divezzi. Nell’età scolare i problemi più frequenti sono dati dai dolori addominali ricorrenti e dai dolori di crescita.

In adolescenza prevalgono invece le cefalee e i dolori del torace. Prima della pubertà, cefalea, dolore addominale ricorrente e dolori dell’articolazione temporomandibolare hanno eguale frequenza nei due sessi, mentre con la preadolescenza emergono differenze tra i sessi e si instaura una maggior incidenza femminile di quasi tutte le sindromi di dolore.

Anche l’importanza relativa di dismenorrea, infiammazione pelvica, cisti ovariche, endometriosi e gravidanza come cause del dolore segue un andamento evolutivo.

 

Lo sviluppo cognitivo

Lo sviluppo cognitivo influisce sul dolore dei bambini in tre modi diversi. Anzitutto i bambini piccoli hanno una diversa concezione della natura, trattamento e causa del dolore.

Secondo, certi trattamenti specifici - p.es. la terapia cognitiva delle cefalee - richiedono un livello di competenza cognitiva inaccessibile ai bambini più piccoli. Terzo, con lo sviluppo cognitivo cambia il modo di manifestare il dolore.

Il concetto del dolore. Data la difficoltà di ottenere da loro dei resoconti verbali, nei bambini sotto i 5 anni non si é studiata sistematicamente l’influenza dello sviluppo cognitivo sulla concezione del dolore.

Non si può tuttavia non tener conto delle esperienze anche precocissime di dolore fisico, che si intrecciano ben presto in una rete complessa di vissuti emotivi.

L’osservazione della mimica dei lattanti durante le vaccinazioni indica che verso i 6 mesi anticipano l’evento con paura, vi rispondono con dolore e manifestano inoltre una reazione di rabbia. Verso i 20 mesi la rabbia viene molto più n evidenza fra le componenti dello schema globale di risposta. 24

In uno studio fondamentale sul rapporto fra dolore e sviluppo cognitivo, Gaffney 20,22 ha esaminato 680 alunni irlandesi da 5 a 14 anni d’età, documentando dettagliatamente le trasformazioni che intervengono nella definizione, descrizione e comprensione delle cause del dolore.

I bambini sono stati classificati in tre gruppi, corrispondenti agli stadi piagetiani del pensiero preoperatorio (fino ai 7 anni), delle operazioni concrete (8-10 anni) e delle operazioni formali (11-14 anni). Nel gruppo dei più piccoli le definizioni del dolore erano imperniate sugli aspetti fisici percettivamente dominanti.

I bambini del secondo gruppo cominciavano ad usare analogie fisiche per descrivere il dolore e mostravano una consapevolezza crescente delle concomitanti psicologiche del dolore - p.es., il suo effetto sullo stato d’animo di chi soffre.

infine, i bambini della fascia d’età più alta fornivano definizioni che implicano sia una componente fisica quanto una psicologica: vedevano il dolore in maniera più attiva e tendevano a definirlo come qualcosa che dev’essere affrontato o sopportato stoicamente.

Questo tipo di atteggiamento ci incoraggia a pensare che si possa insegnare ai bambini ad esercitare l’autocontrollo nei confronti del dolore.

In varie altre ricerche sono emerse differenze evolutive nella descrizione del dolore da parte dei bambini, 1,40,44 ma quei lavori concentravano l’attenzione su eventi concreti, senza chiamare in causa quei concetti astratti che invece acquistano un’importanza sempre maggiore con l’adolescenza.

I mutamenti evolutivi rivelati da Gaffney sono riassunti schematicamente nella tab.1

Tabella 1 - Sequenza evolutiva nel concetto del dolore

 

Età

Concezione prevalente

 

0-3 mesi

Nessun concetto apparente del dolore; memoria del dolore probabile ma non dimostrata definitivamente. Le risposte sono dominate dagli aspetti percettivi

 

3-6 mesi

Risposta del dolore del neonato più risposta di rabbia del lattante e divezzo.

 

6-18 mesi

Sviluppo di un chiaro timore delle situazioni dolorose. Compaiono parole comuni per il dolore, p.es. "bua". Localizzazione di alcuni dolori.

 

Fino a 6 anni

Pensiero prelogico caratterizzato da ragionamento concreto, egocentrismo e logica trasduttiva.

 

7-10 anni

Operazioni concrete: il bambino é in grado di distinguere se stesso dall’ambiente. Uso di strategie comportamentali per fronteggiare il dolore.

 

11 anni e oltre

Operazioni formali: capacità di pensiero astratto e d’introspezione. Maggior uso di strategie mentali o cognitive per fronteggiare il dolore.

 

Quello del dolore rientra, come componente specifica nel concetto generale che il bambino ha di salute e malattia. In base agli stadi piagetani di sviluppo cognitivo si sono individuati tre livelli di comprensione del fenomeno malattia. 6,13

Durante lo stadio prelogico (approssimativamente dai 2 ai 7 anni) i bambini percepiscono il mondo in maniera concreta, in termini di ciò che riescono a toccare, vedere o manipolare. In questa fase i bambini tendono a credere ai propri sensi, piuttosto che astrarre dall’esperienza o credere a quanto si dice loro: per esempio, hanno molta difficoltà a convincersi che una puntura dolorosa possa davvero farli stare meglio. In conseguenza può succedere che non denuncino il dolore se sanno che gli analgesici vanno somministrati per via intramuscolare.

Allo stadio prelogico, inoltre, due eventi vengono collegati fra loro per il semplice fatto che accadono insieme: per esempio, il bambini viene portato dal medico per una vaccinazione e da allora si convince che ogni visita medica debba essere accompagnata da una puntura.

Quanto alla definizione del dolore, i bambini a questo livello lo designano generalmente in termini percettivi semplici, del tipo "il dolore é dove fa male" o "é nella testa", e spesso non colgono il nesso fra dolore e malattia.

Il pensiero logico concreto (7-9 anni)é caratterizzato dalla comprensione del rapporto che c’é fra il dolore, altri sintomi e la malattia, ma senza un’idea chiara delle cause del dolore.

I bambini a questo livello riescono a capire che procedure spiacevoli sono necessarie per la terapia o il monitoraggio della malattia. In molti casi comprendono analogie come "la chemioterapia é come un veleno che uccide solo il cancro", o "l’aspirazione del midollo é una prova per vedere se la chemioterapia sta vincendo il cancro".

Infine, gli adolescenti, che hanno raggiunto il livello del pensiero logico formale (11 anni e oltre) hanno una capacità di comprensione coerente ed elaborata delle interazioni fisiologiche complesse che intervengono nella salute e nella malattia. Come a qualunque età la concezione può non essere sempre esatta, ma la forma del ragionamento é la stessa che nell’adulto.

Naturalmente lo sviluppo del pensiero nei bambini non sempre segue la successione di stadi separati e distinti che abbiamo tracciato: le trasformazioni di solito sono graduali e spesso non uniformi. Il livello del pensiero riflette non solo lo sviluppo cognitivo del bambino, ma le esperienze di socializzazione e gli apprendimenti specifici derivanti dalla particolare situazione di malattia.

Può succedere che un bambino si serva del pensiero prelogico in un certo campo, mentre per un altro aspetto é già passato al pensiero logico concreto. Non solo, ma sotto stress il livello di pensiero può regredire ad uno stadio più primitivo.

I clinici generalmente sono cattivi giudici del livello di pensiero raggiunto dai bambini, tendono a sopravvalutare la comprensione dei bambini più piccoli e a sottovalutare quella dei più grandi. 38 Indipendentemente dal loro livello evolutivo, i bambini rimangono relativamente disinformati circa la natura del dolore, quello che significa per loro e quello che possono fare per affrontarlo meglio.

Da quanto essi stessi riferiscono, sembra raro il ricorso a strategie adattive, mentre emerge con inquietante frequenza l’uso di strategie inadeguate e controproducenti per far fronte al dolore.

La questione se il dolore - compreso quello causato dai trattamenti - sia percepito da molti bambini (se non da quasi tutti) come una punizione per qualche loro trasgressione non é stata risolta dalla ricerca: alcuni lavori, infatti, hanno concluso in senso affermativo 20,22 ed altri in senso negativo. 40

C’é comunque sempre il rischio che il bambino interpreti il dolore come una conseguenza diretta di una sua colpa.

L’influenza dello sviluppo cognitivo sulla capacità di manifestare e descrivere il dolore sarà esaminata più dettagliatamente nell’articolo sui problemi della misurazione. In ogni caso i bambini che non hanno raggiunto la capacità di pensiero astratto non sono in grado di rappresentare l’intensità del dolore usando i sistemi astratti di misura.

Lo sviluppo sociale

Il terzo aspetto importante nel dolore dei bambini ha a che fare con lo sviluppo sociale. All’inizio il lattante ha una dipendenza totale dagli adulti per tutte le necessità della vita. In conseguenza di ciò si sviluppa ben presto un attaccamento specifico ai genitori. In questo periodo é minima l’influenza dei coetanei, ma poco dopo comincia il viaggio, che continuerà per tutta l’età prescolastica, verso l’indipendenza dai genitori e una dipendenza crescente dai coetanei e dai media per i modelli e i valori sociali.

Data l’influenza generalizzata della famiglia sui bambini, molti aspetti della loro vita devono essere considerati nel contesto familiare.

Nel corso della crescita il bambino viene a contatto innumerevoli volte col dolore, sia per esperienza diretta che osservando le sofferenze degli altri ed i loro tentativi di superare il dolore.

Queste esperienza offrono abbondanti occasione di apprendimento in ordine alle idee e atteggiamenti culturali e familiari sul modo di vivere trauma, malattia e dolore, su quello che più conta in questi fenomeni e su come farvi fronte, sia in termini di autocontrollo che in termini di richieste d’aiuto.

Nel caso di bambini che non affrontano bene il dolore, si deve cercare di capire il ruolo che hanno i modelli genitoriali, sia nella specifica risposta a certi tipi di dolore, sia quanto agli effetti generalmente invalidanti.

Domande come "Il babbo manca spesso dal lavoro per dolori o malattie ?", "C’é qualcun altro in famiglia che ha lo stesso problema ?", "Qualcuno in famiglia ha avuto di recente una malattia grave ?", sono tutte utili per far luce su questo aspetto.

In generale il clinico deve cercare di accertare se i familiari si presentano come modelli positivi di fronte al dolore e alla malattia, oppure se c’é la tendenza a cedere le armi senza mobilitare le risorse personali e affidandosi troppo alle prestazioni sanitarie.

Barr 5 ha notato che troppo spesso le domande sul dolore del bambino sono rivolte esclusivamente ai genitori, spesso senza curarsi di sondare il punto di vista dell’interessato, non necessariamente omogeneo.

Questa tendenza ad ignorare il paziente, affidandosi alle informazioni di terzi (per quanto ben informati), priva il clinico della possibilità di ascoltare la descrizione e interpretazione dei sintomi da parte del bambino e gli fa perdere un’occasione importante per fornire a lui direttamente un trattamento efficace. Per ottenere i vari punti di vista può essere molto utile discutere i problemi separatamente con i singoli membri della famiglia.

Ciò é particolarmente importante con i bambini più grandi e gli adolescenti, quando ad esempio sono indicate domande circa la vita sessuale e le risposte in presenza dei genitori sarebbero con ogni probabilità evasive e reticenti.

Da tempo i terapeuti della famiglia hanno descritto un tipo di struttura familiare in cui i genitori sono eccessivamente e impropriamente coinvolti nella vita dei figli.35 Queste famiglie sono caratterizzate da una scarsa capacità di far fronte alle malattie croniche.

Il fenomeno si osserva spesso nel caso di adolescenti che fanno molte assenze a scuola a causa di dolori cronici di natura benigna. In una ricerca 12 si é osservato che le madri di questi ragazzi, assistendo all’esecuzione di un semplice compito sperimentale, intervenivano con molta più invadenza in confronto alle madri di adolescenti che soffrivano degli stessi disturbi ma vi facevano fronte bene, senza compromettere la frequenza scolastica.

Cosa interessante, le madri degli adolescenti più fragili di fronte al dolore incoraggiavano e scoraggiavano allo stesso tempo i figli a far fronte alle difficoltà. Questa ricerca tuttavia non permetteva di valutare fino a che punto l’invadenza materna fosse la causa o viceversa un effetto delle scarse risorse dimostrate dai figli di fronte al dolore e alla malattia.

In sede clinica si pone spesso la domanda se sia o meno opportuna la presenza dei genitori durante le procedure dolorose. Molti autori rivelano che i bambini mostrano comportamenti di disagio più vistosi in presenza dei genitori. C’é da dire che tutti questi lavori si basano su genitori che non hanno ricevuto alcuna preparazione specifica sul modo migliore di aiutare il bambino in queste situazioni.

Istruzioni precise su come suggerire al bambino le strategie più efficaci per fronteggiare il dolore potrebbero dare risultati migliori. Non solo, ma la manifestazione aperta del dolore può essere dovuta al fatto che i bambini si sentono più sicuri e a proprio agio in presenza dei genitori.

In una situazione in cui si trovano vicini solo degli estranei può darsi che inibiscano manifestazioni di dolore per paura di rimproveri o magari di altre iniezioni. Da un sondaggio 40 risulta che il 99% dei bambini ha dichiarato che la cosa che li aiuta quando sentono dolore é avere accanto un genitore.

 

 

 

 

FATTORI PSICOLOGICI

 

Si é giunti infine a riconoscere che il dolore é un’esperienza psicologica complessa dove i meccanismi cognitivi e affettivi sono spesso non meno importanti del danno tissulare.

Nella parte precedente abbiamo esaminato lo sviluppo cognitivo come fattore di cui tener conto a proposito del dolore nei bambini, ma lo sviluppo emotivo é anch’esso cruciale.

Le paure dei bambini nei confronti del dolore cambiano col tempo. All’età di 20 mesi i bambini sottoposti ad iniezioni manifestano il dolore nel quadro di una matrice emotiva complessa dominata da rabbia e paura.

A partire dai 2 anni molti bambini hanno più paura delle iniezioni che di qualunque altra cosa - in qualcuno questa paura si conserva fino all’adolescenza e in età adulta e può causare anche il rifiuto di cure mediche necessarie. Addirittura, per alcuni bambini malati di cancro le punture sono l’aspetto peggiore della malattia.

In età scolastica i genitori spesso temono che certi dolori del bambino - cefalee, dolori addominali o degli arti - siano in realtà i primi sintomi di un cancro: queste ansie possono allarmare gravemente il bambino. Gli adolescenti che soffrono di dolori al torace spesso hanno paura di avere mal di cuore.

Durante le procedure mediche dolorose, come le aspirazioni di midollo osseo, la paura di quella che sta succedendo, generata dal fatto di essere alla mercé degli operatori, senza alcun controllo sulla situazione, può esacerbare la percezione del dolore.

Per fortuna il comportamento dei genitori e del personale sanitario non ha solo l’effetto di esasperare l’ansia e la paura: queste emozioni negative possono infatti anche essere sostanzialmente attenuate dagli adulti, se questi hanno cura di offrire informazioni e sostegni adeguati sia prima che durante la procedura.

 

Il processo di socializzazione

Via via che i bambini crescono, il loro comportamento rispetto al dolore si trasforma da un insieme di risposte relativamente spontanee e prive di direzione in un tipo di azioni che indicano sensibilità all’ambiente immediato, capacità di prevedere ciò che sta per succedere e un’organizzazione finalizzata del comportamento.

Questi modelli di giudizio e di risposta sono acquisiti in un contesto rappresentato dalla famiglia, dal gruppo dei pari, dalla cultura nel suo complesso.

Anche se é convinzione comune che i bambini imparino dalla famiglia come ci si comporta di fronte al dolore, sono sorprendentemente scarse le ricerche sistematiche sulla trasmissione di questi modelli di condotta.

I processi di apprendimento sociale - modelli, rinforzo e punizione - sono ben documentati nella letteratura sperimentale sul dolore degli adulti, 11 mentre c’é carenza di dati per quanto riguarda la clinica pediatrica.

A quanto sembra i pazienti che soffrono di dolori riferiscono con maggiore frequenza di problemi analoghi nei genitori 43 ed é certo che la tendenza ad esagerare o minimizzare i sintomi ha un andamento familiare, 27 anche se non si é potuto finora distinguere il ruolo rispettivo dell’apprendimento e di predisposizioni biologiche. Analogamente, malgrado stereotipi diffusi non é molto chiaro il ruolo della cultura nel modo di manifestare il dolore e di farvi fronte.

Ci sono dei modelli culturali e familiari che sembrano in effetti avere una ripercussione sull’esperienza e manifestazione del dolore nei bambini. Per esempio, alcune famiglie e culture possono incoraggiare l’espressione aperta del dolore, mentre altre spingono a reprimere qualunque risposta spontanea.

Quanto alla nostra cultura, sembra esserci anche un problema di ruoli sessuali, in quanto il pianto e le altre manifestazioni di dolore sono scoraggiate nei maschi e tollerate invece nelle bambine.

Differenze individuali

Già nella primissima infanzia ci sono differenze nella risposta a stimoli dolorosi, 23 differenze che sono forse dovute a differenze temperamentali, 8 anche se nessuna ricerca finora ha esaminato direttamente il problema.

Neppure la stabilità delle differenze individuali nella reattività del dolore é stata studiata nella prima infanzia: per esempio, non sappiamo se il bambino che reagisce energicamente alla prima vaccinazione continuerà a rispondere con la stessa vivacità anche alle successive esperienze analoghe.

Nel caso degli adulti - ma anche dei bambini più grandi - per spigare queste differenze individuali si é introdotto il concetto di "esternazione del sintomo" ("Symptom reporting"), un tratto di personalità che si riferisce alla maggiore o minore consapevolezza dei propri stati fisiologici interni e all a corrispettiva inclinazione a denunciarli pubblicamente.

Un bambino di 4 anni che cade e batte la testa diremo che ha una scarsa tendenza all’esternazione del sintomo se si rialza e continua a giocare come se nulla fosse, mentre parleremo di eccessiva esternazione del sintomo se piange, esagera il dolore e continua a lagnarsi per tutto il giorno.

E’ chiaro che il dolore é solo uno dei sintomi che possono essere lamentati, ma si ritiene che la tendenza a drammatizzare o minimizzare i propri stati fisiologici sia una predisposizione generale e non si limiti a questo o quel sintomo particolare.

Una presenza spiccata di questo tratto di personalità é stata collegata a problemi familiari, ad analoghe tendenze da parte dei genitori, a maltrattamenti psicologici e alla depressione della madre, 32 mentre l’inclinazione a passare sotto silenzio il dolore e altri sintomi é stata associato a un altro costrutto comportamentale, la personalità di tipo A.

La maggiore o minore tendenza all’esternazione del sintomo ha forse un andamento familiare 27 e sembra avere una certa stabilità nel tempo, mantenendosi per anni, almeno dall’età scolastica a tutta l’adolescenza.32

 

Abuso del concetto di dolore psicogeno

La convinzione che il dolore dei bambini sia spesso di natura psicogena é profondamente radicata. Ci sono varie ragioni che possono spiegare questa idea.

Prima di tutto molti dei dolori lamentati dai bambini, come il dolore addominale ricorrente, le cefalee e i dolori degli arti, sono di origine ignota. Tale incertezza é fonte di disagio per il bambino, i genitori e il medico: in qualche caso la diagnosi di dolore psicogeno é più un modo di sfuggire all’incertezza che il risultato di un’analisi accurata.

Un secondo fattore che può incoraggiare l’abuso di questa diagnosi é che per molti di questi dolori non esistono trattamenti efficaci - e l’insuccesso terapeutico può indurre a scaricare la colpa sul bambino.

Un altro elemento che può entrare in gioco é il fatto che i bambini non esprimono e comunicano il dolore allo stesso modo degli adulti, differenza questa che può essere vista come segna di inaffidabilità e indizio di una causa puramente psicologica del sintomo.

Infine, c’é una diffusa convinzione che i bambini tendano a simulare il dolore per evitare certe responsabilità. Benché tentativi più o meno convinti di rifugiarsi ogni tanto nella malattia sano un fenomeno comune, é raro che un bambino simuli a lungo un dolore di rilevanza clinica senza farsi scoprire.

Wall 45 ha descritto questa tendenza ad attribuire al dolore cause psicologiche quando non si riesce a farsene un’idea chiara come un caso tipico di "salto in testa". In realtà il dolore di norma non é né puramente organico né puramente psicologico ma é sempre un’interazione di fattori psicologici, fisici e sociali. 33

In ogni singola situazione il dolore può avere cause prevalentemente organiche o psicologiche, ma senza quasi mai escludere l’altra componente.

Sta di fatto che nei bambini le cause dei più comuni dolori ricorrenti (cefalea, dolori addominali o degli arti) sono di solito ignote. 30 Non solo, ma le cause del dolore - organiche o psicologiche che siano - possono essere varianti normali e non vere patologie. 5,15,29

Il dolore psicogeno esiste, ma alla diagnosi si deve arrivare per via positiva e non per esclusione. La prova più decisiva della natura psicogena del dolore é data dalle coincidenze temporali: per esempio, un dolore addominale che si manifesta subito prima di un compito in classe e passa non appena l’alunno é stato esonerato dalla prova si può tranquillamente definire psicogeno o funzionalmente connesso alla situazione scolastica.

Cause organiche e psicologiche del dolore possono comunque coesistere e la scoperta di un non esclude l’altra (il bambino che soffre di fobia scolare può avere anche una malformazione intestinale).

Non di rado il dolore ricorrente é stato segnalato come un indizio di abuso sessuale, 30 ma si tratta di un segnale scarsamente specifico e discriminante, per cui in assenza di altre indicazioni si deve evitare di concludere in questo senso.

Ci sono però alcuni dati che possono ricondurre il dolore cronico i invalidante degli adulti (ovviamente se di natura benigna) a gravi traumi psicologici come l’abuso sessuale nell’infanzia o adolescenza. 30

 

Aspetti psicologici del trattamento del dolore

Qualunque trattamento del dolore nei bambini presenta un’importante componente psicologica. Gli interventi farmacologici non avvengono nel vuoto ma in un contesto psicologico e il modo in cui si somministra la terapia si ripercuote probabilmente sulla sua stessa efficacia.

Per esempio, se gli analgesici per alleviare il dolore vengono dati al bambini col messaggio, implicito o esplicito, "Così smetterai di lamentarti tanto", il significato sarà totalmente diverso - e forse anche l’effetto - che se il messaggio che accompagna il farmaco é "Spero che questo ti faccia sentire meglio".

Inoltre anche il piano di somministrazione dei farmaci va considerato nel suo contesto psicologico-sociale. Consideriamo come funziona, per esempio, un piano di assistenza postoperatoria con terapia analgesica (oppioidi) su richiesta del paziente.

Questo sistema richiede che il bambino, una volta avvertito il dolore, vinca ogni eventuale remora dovuta all’aspettativa di dover dare prova di coraggio e segnali la cosa ad un’infermiera, riuscendo a convincerla che prova davvero dolore.

L’infermiera a sua volta deve notare la richiesta del bambino, determinare se il dolore é abbastanza intenso, verificare se la dose é compatibile con la prescrizione complessiva, trovare il tempo per ottenere la doppia firma richiesta e infine somministrare l’analgesico.

Immaginiamo quanto più complesso diventa lo scambio sociale se il bambino sa - o crede si sapere - che l’analgesico sarà somministrato per iniezione, cosa che teme più di tutto, o che l’infermiera probabilmente non crederà che il dolore lamentato sia tale da giustificare una nuova dose.

Questo tipo di sistema, che subordina l’intervento infermieristico alla richiesta esplicita da parte del paziente, può anche avere l’effetto d’incoraggiare le esibizioni di dolore, in quanto il sollievo desiderato arriva solo dopo vistose e convincenti manifestazioni di malessere.

Allo stesso modo si deve tener conto del contesto psicologico quando si intraprendono procedure mediche dolorose. Si pensi, per esempio, all’effetto che queste possono avere quando il bambino le interpreta come una punizione per qualche sua colpa. Il dolore inoltre può essere ingigantito se il bambino in attesa può udire altri bambini che piangono o gridano, ovvero se la procedura é eseguita da un operatore esitante, ansioso o insensibile.

Al contrario, risulteranno probabilmente meno dolorosi gli interventi eseguiti da una persona rassicurante, che opera senza fretta in un ambiente silenzioso e rilassante.

Quanto ai trattamenti psicologici del dolore, si possono dividere in quattro tipi in base ai loro obiettivi.

Ci sono così i trattamenti che mirano a rinforzare modificazioni del comportamento in risposta al dolore, quelli che cercano di agire sul contesto familiare, quelli che hanno lo scopo di alterare aspetti dell’immaginazione, dell’attenzione o del pensiero e infine trattamenti che intendono agire direttamente sul piano fisiologico.

Anche se una discussione specifica dei vari trattamenti é rimandata ad articoli dedicati ai singoli problemi del dolore, faremo qui una panoramica generale. I trattamenti psicologici basati sul meccanismo del rinforzo puntano sulla ricompensa del comportamento adattivo che fa fronte positivamente al dolore e sulla punizione (non ricompensa e quindi estinzione) delle risposte al dolore, che vengono ignorate o attivamente scoraggiate. Questo tipo di interventi si usa soprattutto quando ci sono indizi di un’eccessiva reattività al dolore - lamentosità continua, troppe assenze da scuola, ecc..

IN questi casi i genitori vengono stimolati a prestare attenzione (in qualche caso anche con esplicite ricompense) a tutte le condotte che fronteggiano positivamente il dolore, come proseguire nonostante tutto le normali attività. Viceversa, devono ignorare - e in certe circostanze scoraggiare attivamente - lamentele, lagnosità e la tendenza ad evitare le attività consuete.

I trattamenti mirati sulla famiglia sono di solito una forma di terapia familiare per modificare le dinamiche relazionali, che sono in qualche misura alla base del problema presentato dal bambino in ordine al dolore e al modo di farvi fronte, oppure un intervento per cambiare la risposta dei familiari al dolore del bambino.

Fra i trattamenti che agiscono sull’attenzione o sul pensiero rientrano l’ipnosi , le terapie cognitive per potenziare le risorse a fronte del dolore, oltre alle tecniche di distrazione.

Tutti questi interventi mirano a modificare la percezione del dolore o delle situazioni stressanti che possono scatenare le risposte di dolore. Infine, trattamenti come il biofeedback e le tecniche di rilassamento e di respirazione controllata sono usati per alterare direttamente la risposta fisiologica, in modo da mitigare il dolore.

E’ il caso di aggiungere qui un invito alla cautela: il successo di un trattamento non autorizza inferenze circa l’eziologia. Come l’acetaminofene può essere efficace contro la cefalea anche se questa non é causata per l’appunto da una carenza di acetaminofene, così la terapia familiare può dare buoni risultati anche se non é la disfunzione della famiglia la causa del dolore.

 

 

SOMMARIO E CONCLUSIONI

E’ chiaro che in precedenza c’era disinformazione circa il Dolore dei Bambini. ricerche recenti hanno portato non solo a una fioritura di nuove conoscenze sul Dolore Pediatrico, ma anche ad una maggiore capacità di misurare e trattare adeguatamente il Dolore nei Bambini.

Le terapie sia farmaceutiche che di altro tipo hanno fatto grandi passi avanti negli ultimi anni.

Ancor più decisivo é il mutamento intervenuto nell’atteggiamento degli operatori, oggi più disposti a riconoscere la realtà del dolore nei bambini e l’opportunità di adottare spesso trattamenti analgesici aggressivi.

Si deve tuttavia prestare grande attenzione allo sviluppo fisiologico, cognitivo, affettivo e psicosociale, sia per ottimizzare l’efficacia degli interventi, sia per tener conto dei limiti che la situazione evolutiva può comportare per ogni tipo particolare di trattamento.

 

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